L’Heysel: una ferita per sempre

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E’ il mio primo editoriale e per tale motivo è per me un giorno speciale. La vita mi ha sempre riservato incredibili fatalità e quella di oggi ne è un’altra dimostrazione. E’ il 29 maggio 2015 e tutti i media stanno commemorando la tragedia dell’Heysel  (Bruxelles) nel trentesimo anniversario di quella maledetta sera del maggio del 1985 quando in uno stadio di calcio fatiscente si disputò la finale di coppa dei campioni tra la Juventus ed il Liverpool.

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Trentanove furono i tifosi morti a causa della follia di una parte della tifoseria inglese che a quell’ora (19 circa) era ormai ubriaca fradicia: stiamo parlando dei famigerati hooligans. Su quello che successe in quello stadio dalle 19 alle 24 si è detto di tutto da parte di tutti in questi trent’anni. Come sempre succede anche in casi drammatici come quello che stiamo ricordando ognuno ha una sua verità, una sua spiegazione, una sua soluzione non attuata. E’ chiaro che una discussione esploda per avvenimenti così gravi ma sono fondamentali le testimonianze, i fatti oggettivi e l’onestà intellettuale. Come giustamente ha detto Boniek recentemente i veri grandi responsabili furono gli organizzatori della finale nella scelta di quel campo fatiscente dove si notavano calcinacci e materiale di risulta di un cantiere in vari punti dello stadio ed ancor più nella vendita scellerata dei biglietti di “curva Z” (rimasta famosa negli annali di cronaca) sia a tranquilli italiani con bambini al seguito che ai cosiddetti hooligans! E qui il discorso sarebbe già fin troppo chiaro. Ricordo invece (ne sono ancora in possesso) tutti i titoli e le frasi quali: “restituite la coppa di sangue”, “vergogna, è una coppa insanguinata”, “la Juventus non doveva giocare”, “i giocatori della Juventus ed i tifosi non dovevano esultare per la conquista della coppa” e così via. Sono stato per trent’anni in giro per il mondo con la Juventus e quella sera ero in tribuna con italiani emigrati in Belgio i quali avevano procurato nei giorni precedenti sei biglietti di curva Z per tutti noi. La fortuna ci fu vicina perché all’ultimo momento prima della partenza da Salerno entrai in possesso di sei biglietti di tribuna. Ci disfacemmo all’ultimo momento di quei pericolosi biglietti e non abbiamo mai saputo a chi fossero capitati (erano tra i trentanove?).  Alla fine della partita nell’uscire sul piazzale della tribuna ci trovammo davanti ad uno spettacolo tremendo che ancora oggi mi sconvolge al pensiero: trentanove corpi esanimi nascosti da lenzuola e coperte. Posseggo anche un mio filmato amatoriale con le scene di quella tragedia. Ma in tribuna certamente nessuno di noi aveva compreso la dimensione della strage. Era chiaro che fossero avvenute cose molto gravi perché evidenti erano le scene drammatiche provenienti da quella curva e perché subito dopo un altoparlante chiamava i tifosi singolarmente e per nome per farli convergere verso i rispettivi pullman per il rientro a casa dal momento che la partita sarebbe stata annullata. Non so cosa sapessero i tifosi degli altri settori ma ricordo perfettamente i discorsi che facevamo in tribuna (e vi assicuro che arrivavano solo notizie nettamente contrastanti fra di loro) e quello che avvenne negli spogliatoi dove testimoni importanti mi hanno in seguito descritto minuto per minuto ogni sofferta decisione. La partita poi si giocò in un clima surreale che riuscì a non trasferirci l’immagine della tragedia in tutta la sua dimensione. Da allora ad oggi non solo non è migliorato nulla ma addirittura la situazione è peggiorata per la continuità ed il crescendo dei lutti. L’Inghilterra nella figura della signora Thatcher seppe risolvere in maniera straordinaria e determinata i problemi interni (oggi i loro stadi sono dei salotti) mentre da noi apprendo dopo i disordini (per usare un eufemismo)  di Lazio – Roma la decisione del Viminale: “ I derby in futuro saranno giocati sempre di domenica ed alle 12.30”. Roba da non credere!! Quel che conta oggi è un mio sentimentale e commosso ricordo delle vittime e la voglia di stringermi ai loro familiari perché solo Dio sa cosa ho sofferto, insieme a tanti quella sera, e quali segni porto ancora oggi dentro di me. In medicina chiamansi “cheloidi”.

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Spero che possiate leggere in autunno particolari inediti e storie e nomi di quella serata che io ho descritto nel mio primo libro  “Io e la Juve, storia di un grande amore”. Confido in questo modo di poter contribuire a fare luce su una vicenda ancora oggi infinitamente straziante.

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