Un “amaro lucano”

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Citta56img120 (1)Da un quarto di secolo (superati dunque abbondantemente i ventenni di regime più famosi della storia recente) nulla si è verificato nella bella Salerno di ciò che la mia generazione aveva sognato. Mi spiego meglio a favore di chi abbia voglia di seguire un ragionamento coerente, onesto e non arrogante. La caratterizzazione che ha accompagnato da sempre il popolo salernitano è stata quella di “pisciaiuoli” o popolo delle “chiancarelle”, termini con i quali si sottolineava la naturale propensione per il commercio delle carni e per il mercato del pesce (le origini sono date da un piccolo borgo di pescatori). E’ un pò come dare del “montanaro” a chi vive tra il verde e l’altura delle montagne ed è bravo a cucinare la “polenta con gli osei”. Ed infatti questa caratterizzazione  non ha costituito per noi un problema ma soltanto una peculiarità. Salerno era peraltro una vera città turistica con i suoi tanti ostelli per la gioventù dove arrivavano bellissime ragazze scandinave attese da tanti giovanotti con la voglia matta di conquistarle; lidi balneari distribuiti su di un mare splendido (eccezion fatta nei giorni feriali quando purtroppo abusivamente venivano sversati dal macello in alcuni punti della costa residui indescrivibili dalle ore 13 alle 15); la costiera amalfitana fu insignita del termine di “divina” per la particolare bellezza intrinseca e per la frequentazione costante dei divi di Hollywood; a sud della città si estendeva la selvaggia costa cilentana.  Per completare lo scenario (che vorrei fosse chiaro e conosciuto ai più giovani) oltre ai monti ed alle colline che facevano da cornice ad un quadro di rara bellezza era stata concepita un’importante zona industriale di livello nazionale ed internazionale (gli esempi più eclatanti il pastificio Amato, i profilati in ferro della Brollo, le manifatture della Marzotto, l’Ideal Standard ed altri ancora). Pochi salernitani ricordano che abbiamo avuto appena fuori città (una volta piazza della Concordia era già periferia) una rinomata azienda nazionale. Io avevo pochi anni e se la memoria non mi inganna trattavasi niente di meno che di un sugherificio (zona Piazza d’armi) e nelle vicinanze il famoso cementificio che architettonicamente potrebbe addirittura essere definito più interessante di qualche attuale edificio moderno.

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Se poi estendiamo il ricordo fino a Battipaglia, oltre alle industrie casearie da sempre peculiari della zona, in quella piana lavorava a pieno regime un rinomato tabacchificio. Alla caserma “Cascino” nel quartiere torrione vi era il C.a.r per l’addestramento reclute da tutt’Italia (in seguito scippatoci senza una civile ma dura protesta) ed il Teatro Verdi presentava annualmente il più prestigioso festival internazionale del cinema “a formato ridotto” grazie alla prestigiosa regia e passione del compianto mio collega medico Ignazio Rossi. Un ricordo ancora va al prestigioso circuito cittadino di “formula tre” che fino agli anni ’60 dava lustro ulteriore alla città fino ad un tragico evento che ne decretò la fine.

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Nel 1980 un tremendo terremoto in Irpinia mise in ginocchio una regione intera ed ovviamente anche Salerno si apprestava a vivere anni di crisi . Ad esempio il Teatro rimase chiuso per diversi anni, alcune strutture importanti furono dichiarate inagibili e l’economia della città conobbe un calo molto grave a cui si aggiungevano le crisi politiche comunali. Difatti per un sistema vigente all’epoca in cui una giunta comunale cadeva ogni sei mesi anche per la costruzione di un “cordolo” per gli autobus, nessun sindaco seppur prestigioso e carismatico riusciva mai a portare a termine un mandato lasciando così una sua traccia. So bene che il prologo è stato fin troppo lungo ma lo dovevo per far capire il senso del discorso. Insomma gli anni ’80 hanno rappresentato un periodo di oscurantismo (nel suo senso più lato) fino al programma prestigioso e difficile presentato dal sindaco Vincenzo Giordano confortato dalla operosità dell’allora ministro delle aree urbane Carmelo Conte ma interrotto bruscamente da avvenimenti politici che consentirono da quel momento ad un nuovo sindaco di diventare un “podestà” potendo governare per almeno un lustro senza rischio di decadenza. Inizia qui il racconto di un “amaro lucano” sbarcato a Salerno per irrigimentare una città governandola con metodi personali che fin da subito preoccuparono per la eccessiva severità (eufemismo) e per atteggiamenti volti all’offesa più che alla educazione. Dopo due legislature eravamo stati trasformati da “pisciaiuoli” a “cafoni”. Questo non è consentito perché i pochi non costituiscono un popolo ed anche perché noi non avevamo mai ricordato a lui le sue origini. Specifico oltretutto che in Lucania ho carissimi ed importanti amici ed apprezzo il territorio particolarmente: ricordo volentieri Antonio Di Caro, di Oppido Lucano, per decenni proprietario di una delle più grandi industrie europee per la plastica (Dilaplast in zona industriale a Salerno). Se tanti concittadini hanno gradito e digerito l’amaro io ho sofferto per gli effetti diretti, indesiderati e collaterali causati dalla visione di una trasformazione negativa del territorio fino allo stravolgimento dei connotati e delle tradizioni. Qui non mi dilungo perché ritengo evidenti la storia e gli avvenimenti attuali contro cui combatto appunto da un ventennio. Riconosco di essermi dilungato molto nel prologo e prometto di elencarvi in un prossimo scritto (prima della festività di San Matteo considerato che tale evento sacro è stato accostato da anni ad appuntamenti di vario e scadente genere) tutte le tradizioni, le manifestazioni e gli eventi che hanno caratterizzato da sempre Salerno senza alcun fumo ma con tanto arrosto!

Vado a concludere sperando, senza essere scaduto di stile nelle argomentazioni, di aver trasmesso il mio messaggio d’amore per la mia Salerno e la cocente delusione per un sogno svanito. Vorrei infine rivelarvi il dubbio atroce che mi assale spesso al risveglio, una confusione che mi sconvolge i ricordi di bambino. Ecco cosa mi chiedo: “Quando io sono nato, il mare c’era a Salerno? Oppure è stato portato a noi cafoni in dono da un amaro lucano?”.

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